di Filippo Davoli
Guardando le strade che il pennino di Deianira traccia, strade che si perdono verso il cielo o che si inerpicano tra colline investite di luce (e di nebbia, che della luce è un segnale simbolico) appaiono, oltre alla certosina pazienza di questa giovane e brava artista, una solarità di sentimenti ed anche una grande sensibilità di approccio al mondo che è sì, colto nei suoi aspetti naturalistici, ma sempre travestito di elementi fortemente significanti e quasi sganciati dall’immagine, dal quadro: una nuvola, un buio crepuscolare, una barca, che non sono indispensabili a identificare l’immagine, ma al contempo ne sottolineano una particolarità, quasi che Deianira dicesse attraverso di essi: “Eccomi, sono qua”.
Forse non è un caso se, nella sua più recente produzione, Deianira approda all’astratto e si avvia all’informale, conservando però qualche aspetto del naturalistico che permetta comunque un richiamo altro (l’occhio, ad esempio…).
Un vedere da dentro, una ricerca del nuomeno nel fenomeno, un’ansia di Essere nell’Esserci, di Eternità nel Tempo. E quella barca che, lungi dall’essere semplicemente un riquadro da un porto, riporta alle scaturigini del mondo, all’amnyos, ma anche alla sua conclusione (barca come culla e come bara), sta proprio a testimoniare l’importanza di riconquistare al corpo e alla Storia quelle che sono l’Arte e la Poesia: non due manifestazioni dell’irrazionale, bensì la voce che, sulle tracce della Verità, si fa presenza scomoda, punto di partenza, ma anche segno scritto, e pertanto traguardo e di nuovo punto di partenza, etc.
Questo valore a mio giudizio, hanno le nuvole e le nebbie (ora chiare, lampanti come folgorazioni, ora scure, fuligginose). La tecnica mirabile di Deianira consente al suo immaginario di concretizzarsi e di parlare.